Molti paesi del Sud America non hanno mai fatto pienamente i conti con i traumi prodotti dalla violenza delle dittature di fine Novecento. Questa rimozione della memoria provoca, ancora oggi, profonde inquietudini sociali e l’impossibilità di raggiungere un’identità coesa. In Cile le migliaia di "desaparecidos" furono un modo per far scomparire anche il sogno rivoluzionario incarnato da Salvador Allende e per annientare la memoria e l’identità di un’intera generazione di giovani. Con la fine della dittatura, la nuova "democradura" ha preferito attuare forme “politiche” di transizione piuttosto che istituire lunghi processi giudiziari: amnesia e amnistia hanno finito, di fatto, per coincidere. Tuttavia, una generazione di cineasti militanti ha documentato i traumi del Cile, anche in clandestinità o in esilio: sono i registi del cosiddetto "cinema di Allende". Tra loro, Patricio Guzmán è il documentarista che più di tutti si è dedicato, ossessivamente e ostinatamente, al racconto visuale delle cause e delle tragiche conseguenze della dittatura. In ormai mezzo secolo di produzioni, il suo cinema ha dimostrato di essere una forma di ricerca sociale unica nel ricostruire la memoria traumatica del Cile, provando a trasformarla da campo di battaglia a strumento per restaurare un’identità infranta. Descrivere il cinema di Guzmán significa raccontare "la memoria ostinata", ma anche costruire un’apologia delle ricerche visuali.
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